prima pagina pagina precedente scarica il testo



Due Arpe per Monza
di Massimo Di Gesu



Se le conquiste del sapere si attuano anche attraverso le erosioni di sedimentati luoghi comuni, nel concerto del 29 giugno in Sala Maddalena il "Duo d'Arpe Minerva" ha sicuramente onorato l'olimpica ascendenza della propria denominazione, dissipando con illuminante perentorietà gran parte dei riduttivi stereotipi che ancora in qualche modo inibiscono una più larga diffusione della letteratura per quello straordinariamente versatile strumento che è l'arpa.
Nell'occasione appena accennata Sara Bertucelli e Laura Di Monaco, le due sodali artistiche di cui si compone il pregevole duo, hanno infatti descritto un'articolata panoramica sulle variegatissime possibilità timbriche ed espressive della loro combinazione strumentale, in un excursus che si è esteso dal barocco alla contemporaneità, includendo sia esempi di letteratura originale per gli strumenti che seducenti saggi di uno sterminato repertorio di trascrizioni per due arpe.
Il nutrito e reattivo pubblico che ha riempito la Sala Maddalena ha dunque visto affrancare l'arpa dalla monocromia in cui certo oleografico immaginario la confinerebbe, nell'esecuzione di un programma la cui rutilante versatilità ha propiziato la generosa espressione dei talenti di due musiciste tanto giovani quanto mirabilmente ricca è già ora la ghirlanda dei loro traguardi professionali.
Infatti il Duo Minerva, formatosi nel 1998 ma già blasonato da un curriculum artistico di prestigio internazionale, ha inaugurato l'interessante programma della matinée domenicale con il Preludio e fuga BWV 539 di Bach, in cui la trascrizione ad opera di Fabrice Pièrre dall'originale organistico ha permesso di confermare l'assolutezza del pensiero bachiano non tanto nell'avulsione da un condizionamento timbrico, quanto nella prodigiosa fisiologicità del suo gesto in rapporto a qualsiasi fonte sonora.
Dopo la trasparente resa dei bachiani caleidoscopi lineari, S. Bertucelli e L. Di Monaco regalano al pubblico le seduzioni della raffinata strumentazione di Jean-Michel Damase http://chezdamase.tripod.com/biography.htm (n. 1928) nell'Allegro dalla Sonata per due arpe, un piccolo gioiello d'arguzia drammaturgico-formale cui fanno da pilastri una sapienza armonica ed una forbitezza di concezione melodica che sospendono il proprio autore nell'aspirazione ad un'astorica apollinea astrazione.
Coinvolgente afflato melodico, talora dai continentali echi (belcantistici!), si respira in un secondo brano originale, il Rondò - allegro dal Gran Duo del gallese John Thomas http://www.harpanddragon.com/JohnThomasmusic.htm, che è stato inoltre saggio, da parte delle due artiste, di un'empatica coordinazione in senso strutturale del fraseggio; caratteristica, questa, che ha costituito forse il momento interpretativamente più alto della prima parte del concerto.
Prima parte che veniva conclusa da due trascrizioni (ad opera di May Hogan Cambern) di brani iberici: Cordova di I. Albeniz, e Jota di E. Granados, occasione di prodiga effusività da parte del Duo Minerva, calatosi nel dionisiaco pulsare dei tellurici ritmi spagnoli con ir-radiante compiacimento pari solo al nitore tecnico con cui ogni dettaglio dei due pezzi è stato illuminato a beneficio dell'entusiastico uditorio.
Nella seconda parte Carlos Salzedo http://www.harpa.com/salzedo/#Biography (forse la figura più eminente nella storia dell'arpa moderna sia come compositore che didatta e trattatista) fa la sua comparsa dapprima in veste di trascrittore: nella sua versione per due arpe viene infatti proposto il notissimo Claire de lune di Debussy, un pezzo in cui l'arpista francese naturalizzato americano individua l'eleganza nelle coordinate di una parchezza d'intervento sull'originale debussyano che si concreta in rara idiomaticità strumentale e pregnanza espressiva.
Suggestive si rivelano anche le trascrizioni brahmsiane ancora ad opera di Fabrice Pierre: decisamente meno prevedibili del cimento debussyano di Salzedo, tre degli Intermezzi op. 117 vengono poco più che "ri-timbrati" in un contesto ove però la vistosa metamorfosi musicale avviene sul piano della resa fraseologica di una tessitura originale iridescente di baluginii armonici e non sempre evidenti stratificazioni lineari; l'equilibrio di questi due elementi sarebbe indubbiamente destinato ad essere alterato nella scomposizione della tessitura in due differenti soggetti strumentali, se non fosse per l'avvincente coesione interpretativa di cui ancora una volta vien data prova dal duo Bertucelli-Di Monaco.
Addirittura soggioganti possono poi definirsi le preziosità di Bernard Andrés (n. 1947): anch'egli, similmente a Damase, sostanzialmente estraneo ai travagli delle avanguardie, propone in Le jardin des paons un pezzo di onirico vagolamento nelle vaporose atmosfere che promanano dalle suggestioni di un fantasioso repertorio di modi di produzione del suono, che la sapienza e sensibilità delle interpreti plasmano in una struttura di confluenze d'echi di versicolore sostanza.
Parallelamente alla prima parte del programma, anche in questo caso la chiusa dell'intero concerto è affidata alle suggestioni popolari di una suite di Salzedo, di cui il Tango, Rumba, e Seguidilla evocano scroscianti applausi da un inebriato pubblico.
Un concerto fuori dal comune per intrinseche qualità estetiche e per tonificante propositività, di cui siamo debitori alla lista civica “Insieme per Monza” che lo ha impeccabilmente organizzato e presentato alla cittadinanza.

Massimo Di Gesu


in su pagina precedente

  1° luglio 2003